Italia, la nuova sfida del lavoro è la formazione

Un articolo del Corriere della Sera ha rilanciato un argomento spinoso, ovvero la qualità della formazione in Italia, soprattutto in relazione alle nuove sfide di un mercato del lavoro sempre più vicino alla svolta digitale. Secondo gli esperti intervistati dal prestigioso quotidiano italiano, gli ambiti su cui intervenire sono ancora molti, sia sul fronte aziendale che nell’offerta formativa.

Problema di competenze. Il primo nodo è quello dello “skill mismatch“: traducendo dall’inglese, si tratta del gap esistente tra le capacità e le competenze dei professionisti e quelle che invece sono le richieste (o le ambizioni) delle imprese. Vale a dire, il differenziale tra le esigenze del mercato del lavoro e le reali skill delle persone che “popolano” il Paese: un problema forse storico, ma che in epoca tecnologica assume altro valore e un peso maggiore.

Numeri troppo bassi. L’ultimo report dell’Ocse, pubblicato nelle scorse settimane, ha confermato come il livello delle competenze in Italia sia ancora molto o troppo basso: per la precisione, si contano più di 13 milioni di abitanti che possiedono skill minime, e solo 14 laureati su mille completano gli studi in materie scientifiche, mentre la questione è ancora peggiore se si parla di competenze digitali. Non a caso, si ritiene che nel 2020 in Italia si conteranno 750 mila posti di lavoro vacanti a causa dell’assenza di candidati adeguati. 

L’importanza della formazione. Questi dati ci fanno anche capire come sta evolvendo il mercato del lavoro, che si sta orientando sempre più verso una professionalizzazione continua degli impieghi, con competenze che devono essere sempre più elevate e adatte ai nuovi scenari globali. Una strada già segnata e che coinvolge anche impieghi tradizionali, come dimostra la piattaforma www.teoremacorsi.com, attraverso cui si scopre quanti e quali sono gli enti di formazione che, ad esempio, hanno attivato un corso segretaria studio medico, cercando di offrire un percorso di miglioramento di competenze anche in un ambito così particolare.

Anche le imprese devono cambiare passo. Questa è una possibile strada per superare la forte carenza di professionisti adeguati alle richieste del mercato che si avverte in Italia, ma secondo gli esperti bisogna che anche le imprese facciano la loro parte: l’amministratore delegato di EY Italia, Donato Iacovone, ha sottolineato come una quota del 20/40 per cento delle aziende italiane non è in grado oggi di prevedere di quali profili avrà bisogno nell’immediato futuro.

I profili più ricercati. Una situazione che deriva anche dalla “impossibilità” di comprendere a pieno quali sono le professioni attualmente in via di sviluppo e, soprattutto, quali quelle che potranno essere create dalle esigenze stesse del mercato. Di sicuro, però, l’ambito digitale è quello che dovrebbe offrire più sbocchi: Jeffrey Edberg, amministratore delegato di Wind 3, è convinto che i professionisti maggiormente richiesti nel prossimo futuro saranno data scientist, addetti al digital marketing, customer experience manager e big data analitics.

La questione digitale. Professioni digitali su cui si scontra la realtà italiana: a fronte di una domanda di “digital jobs” in crescita del 26 per cento ogni anno nel nostro Paese, infatti, la percentuale di giovani realmente occupati in questo ambito è ancora molto bassa, stimata intorno al 12 per cento, a fronte di una media del 16 per cento in Europa. E la causa di questa forbice sembra essere, ancora una volta, la carenza di competenze che nella digital economy si fa percepire con più forza.

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